Maria Veronica Zinnia, in arte Beccamorta, nutre da sempre una forte passione verso dinosauri, mostri e scheletri. Nel 2019 apre un canale YouTube, in cui, settimanalmente pubblica, con ironia, video relativi a tutto ciò che ruota intorno alla nera Signora.
L’abbiamo incontrata.
Partiamo dal tuo primo libro, appena pubblicato e autoprodotto. Da dove nasce l’ispirazione di titolarlo Memorie di Marmo?
Innanzitutto, grazie mille per avermi dato questa possibilità di raccontare del libro a Il Rumore del Lutto, ne sono molto onorata.
Memorie di Marmo è un titolo che secondo me racchiude a pieno il significato del libro, se si pensa al marmo, si pensa automaticamente a qualcosa di freddo, qualcosa che non ha più vita, questo rappresenta le dieci persone di cui ho voluto parlare, mentre la parola memorie è ciò che secondo me invece riporta in vita questi personaggi, perché ricordarli è il miglior modo per farli vivere in eterno, ed è ciò che ho cercato di fare sulle pagine del volume.
In base a quali criteri hai scelto di raccontare le storie di vita dei personaggi narrati?
Non c’è un ordine preciso, tre di questi sono collegati direttamente alla storia della mia vita mentre gli altri sono personaggi con cui sento di avere stretto un legame emotivo, storie e sepolture che ho scoperto durante le mie avventure da necroturista e a cui mi sono affezionata tantissimo nel corso del tempo.
Mi ha colpito la storia di Tiziano Tullini, forse perché ricordo esattamente il senso di vertigini che provai, da bambina, sulla Torre degli Asinelli. Ce ne vuoi parlare?
È la prima storia che racconto nel libro ed è anche quella a cui sono più legata. Tiziano, infatti, era cugino di primo grado di mio padre, avevo alcune cose in comune con lui: la passione per la musica rock e il desiderio di viaggiare per il mondo. Non mi vergogno a dire che anch’io, come lui, ho provato a togliermi la vita con l’unica differenza che lui ci è riuscito, mentre io (per fortuna) no. Al termine della stesura io stessa sono salita sulla torre degli Asinelli, ed è stato come ricordare Tiziano. Ogni scalino che facevo, in qualche modo corrispondeva ad una pagina del libro completata… Andare ad indagare la sua vita per raccontarla è stato un po’ come conoscerlo.
Hai dedicato il libro a tua nonna. Vuoi lasciarci un ricordo di lei?
Certo, userò il presente per parlare di lei, perché è ancora viva dentro di me. Mia nonna si chiama Adele, è nata ad Eboli, un piccolo paesino in provincia di Salerno nel 1937 e se ne è andata nel mese di novembre del 2019. Le volevo un gran bene; anche se non comprendeva molte cose del mio mondo mi ha sempre sostenuta desiderando solo il meglio per me. Amava raccontarmi di quando era una ragazza e di come aveva conosciuto mio nonno (deceduto quattro mesi prima della mia nascita), ed io amavo ascoltarla. L’ultima volta che l’ho vista in vita era ricoverata presso un hospice. Sono andata a salutarla perché il giorno dopo mi sarei trasferita a vivere in Veneto; l’ho abbracciata forte e lei mi ha guardato negli occhi dicendomi: “Mi raccomando cerca di stare bene”, così le ho promesso che sarei tornata per Natale e che saremmo andate a mangiare nel suo ristorante preferito. Non appena uscita dalla struttura, invece mi girai verso il mio compagno dicendogli che quella sarebbe stata l’ultima volta… Infatti, una settimana dopo ero già a Bologna per partecipare alle sue esequie. Mi manca, ma come ho già detto continua a vivere in me; tengo ancora salvato il suo numero di telefono nella rubrica e qualche volta le mando anche dei messaggi.
Ami la Certosa di Bologna, oggi patrimonio UNESCO, in cui sono sepolti illustri personaggi, come Cristina Campo… Sei stata anche una volontaria addetta allo spolvero delle tombe lì raccolte. Qual è stata la scintilla che ha acceso la tua passione? Lo chiedo perché anch’io, fin da adolescente, andavo a visitare i cimiteri. Il colpo di fulmine per me fu il Père-Lachaise…conquistato in solitudine nelle due ore libere di una gita scolastica.
Sono stata anch’io, di recente, per la prima volta al cimitero del Père-Lachaise a Parigi, come mi aspettavo anche per me è stato amore a prima vista, anche se nel mio cuore il primo posto è ancora occupato dal Cimitero Monumentale Staglieno a Genova, dove tra l’altro riposano tre dei protagonisti di Memorie di Marmo.
Non so dire di preciso come e quando è nata questa mia inusuale passione, i cimiteri mi hanno sempre affascinato, sin da piccola, a scuola ero additata come quella “strana”, la bambina che al posto delle bambole voleva giocare con i dinosauri e con tutto ciò che fosse fuori dall’ordinario. Nel corso degli anni ho dovuto affrontare diverse sfide e diverse diagnosi psichiatriche: soffro di un disturbo da stress post traumatico e di disturbo di personalità borderline, cosa che non ha fatto altro che alimentare il mio disagio nel trovarmi in luoghi troppo affollati o avere a che fare con tante persone nuove. Nei cimiteri monumentali oltre alle bellissime opere d’arte trovo anche tanta pace e serenità, vado spesso anche solo per leggere un libro, disegnare, scrivere e per starmene un po’ per conto mio.
Veronica, perché ti fai chiamare Beccamorta?
Grazie all’amica Sonia, la quale non appena ha saputo che sarei voluta diventare una tanatoesteta ha iniziato a prendermi scherzosamente in giro chiamandomi “Beccamorta”, io in tutta risposta ho usato la cosa a mio vantaggio per crearci un intero mondo.
Città dei vivi e città dei morti. In quale dimensione tra queste ti trovi meglio, dunque?
Diciamo che è un cinquanta e cinquanta; può essere un controsenso ma stare a contatto con il mondo dei morti mi ha portato ad apprezzare di più la vita, infatti amo vivere per il semplice fatto che di vita ne conosciamo una sola e voglio viverla a pieno per viaggiare, per recarmi a visitare città nuove e soprattutto per andare a scoprire tutti i cimiteri monumentali del mondo! È sempre meglio vederli da spettatore piuttosto che da residente, dico bene?
Parlare di morte per inneggiare alla vita è uno dei motori trainanti de Il Rumore del Lutto festival, al quale anche tu hai partecipato. Che ne pensi?
Direi che concordo al cento per cento, è anche un po’ la mia filosofia di vita, imparare ad accettare che la morte fa parte della vita può aiutare parecchio a vivere quest’ultima molto più serenamente. Sogno che in un futuro non lontano la death education possa essere integrata nelle scuole italiane.