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Cristiano Godano: “L’Italia non è un Paese rock”

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Più che un’intervista, una piacevole chiacchierata. Incontrare Cristiano Godano è sempre un piacere. Sentite che cosa racconta del nuovo disco ma non solo…

• Quali sono le consapevolezze maturate dopo aver fatto un album di tale portata?
È stato interamente prodotto da noi senza alcun intervento esterno e quindi la consapevolezza maturata è certamente quella di aver saputo gestire al meglio un lavoro così importante ottenendo un risultato sicuramente di livello.

• Aggiungerei  “internazionale”…
Sono d’accordo, aggiungo che trovare nel nostro Paese musica rock (in italiano) concepita con questo suono non è così scontato.

• Ecco, ricollegandomi alle consapevolezze, cosa potrebbe rivendicare un gruppo come Marlene Kuntz  nel panorama musicale italiano odierno?
Penso a chi ci segue, i Marlene Kuntz hanno una frangia di pubblico strutturata, persone che ci hanno seguito con fiducia e che si sono rese conto che abbiamo sempre cercato in maniera onesta di migliorarci.

• Esistono anche quelli che non la pensano così.
Mi è sempre risultato spiacevole sapere che “nella vulgata” di un certo ambito underground italiano circoli sempre la solita litania.

• E quale sarebbe?
I Marlene Kuntz sono morti dopo i primi tre album.

• Ma come… non lo sai? Secondo certi criteri tutti i gruppi sono morti e sepolti dopo i primi tre album!
(Ride) In effetti è una regoletta non scritta di un gioco che però ha dimensioni francamente fuori misura. Parliamoci chiaro, se esiste interesse per il rock in Italia – cosa di cui francamente dubito – allora bisognerebbe ci fosse maggiore coesione tra i differenti ambiti ergo meno astio, meno invidia, meno stronzate di questo genere.

• Ti piacerebbe! Caro Cristiano, l’ambiente legato al rock italiano si nutre principalmente di tutto ciò!
Ne sono consapevole. Questo però non favorisce la crescita né individuale né collettiva. A prescindere, andiamo avanti per la nostra strada, molti non ci crederanno ma noi proseguiamo con una certa modestia; facciamo le nostre cose, sappiamo di farle bene e non rompiamo i coglioni a nessuno.

• Certo che mica le mandi a dire!
(Ride) Noi siamo più vivi che mai e di sicuro l’ultimo album ne è una chiara testimonianza. Dimostrare alla nona prova su disco una coesione di tale portata non è semplice, oltretutto vorrei ricordare che siamo insieme da una ventina d’anni, anche questo è motivo di orgoglio.

• Mi interessa la questione dell’invidia e dell’astio. Qualcosa che in Italia e nello specifico nell’ambiente musicale – come dicevo – è un triste dato di fatto.

In Italia e nel nostro mondo esiste questo problema. Siamo un Paese decisamente poco rock. Dobbiamo ancora emanciparci da una questione ben precisa connessa in un qualche modo al discorso dell’invidia. Nell’ambito di un certo tipo di musica se un musicista acquisisce una posizione dignitosa è come se si dovesse un po’ vergognare. Esiste ancora una sorta di strascico ideologico secondo il quale appunto “chi suona”dovrebbe fondamentalmente “andare a lavorare”.

• Concetti desueti, nemmeno fossimo dentro un regime…
Di certo non riconducono a modalità anglossassoni. Da quelle parti pubblico e critica – seppur nelle differenze – remano dalla stessa parte. Vorrei ricordare che noi invece siamo il popolo che processò De Gregori, colpevole di non scrivere canzoni sufficientemente impegnate. Quello che voglio dire è che se si ascolta musica di stampo anglossassone, bisognerebbe allinearsi a quel tipo di mood … altrimenti l’invito potrebbe essere quello di lasciar perdere e magari dedicarsi – chessò – alla musica slava, rumena, sovietica…

• Potrebbe essere un problema di empatia tra pubblico e musicisti?
Tu sai vero che anch’io curo un blog su queste pagine? Per altro “è colpevolmente” fermo ma soltanto perché mi sono concentrato sul disco in uscita. Ebbene, su quelle pagine, mi è capitato in passato di affrontare l’argomento e la reazione di alcune persone mi ha realmente stupito! Commenti del tipo: “È finita la pacchia! Andate a lavorare”; se questa è la sensibilità della gente in Italia nei riguardi della musica, siamo messi male. Mi piacerebbe che ci fosse non solo maggiore empatia ma anche solidarietà, rispetto.

• Senti, torniamo al disco! Nelle canzoni sono i dettagli a fare la differenza, tanto da definire inequivocabilmente l’intera operazione.
La nostra musica vive di dettagli. Ne parlavamo già all’epoca dei primi dischi e ne sottolineavamo l’importanza. Siamo sempre stati molto concentrati su questo tipo di sensazione e di consapevolezza; li abbiamo sempre cercati con assiduità, con pazienza. Facendo poi riferimento a ‘Nella tua Luce’ il discorso prevale totalmente, come dicevo, lo abbiamo interamente gestito noi.

• È corretto sostenere che dopo San Remo i Marlene Kuntz abbiano sentito l’urgenza di dimostrare qualcosa?
Non direi. Noi abbiamo sempre cercato di dimostrare qualcosa, prima di tutto a noi stessi cercando magari di non ripeterci, non più di tanto perlomeno… abbiamo seguito il nostro talento assecondandolo cercando di fare ciò per cui siamo portati. Stravolgere totalmente il proprio percorso appartiene alla genialità di poche persone. Di sicuro, tornando alla domanda, dopo quell’esperienza ci siamo ritrovati in studio con molta determinazione mista a grande serenità.

• Dopo tanti anni non è così scontato…
Posso tranquillamente affermare che Riccardo e Luca siano le persone con le quali ho passato più tempo durante la mia esistenza. Avere ancora questa forma di coesione indiscutibile tra noi è veramente sorprendente. Ti dirò, l’atmosfera creatasi ha giovato tantissimo alle sessioni di registrazione e di questo sono orgoglioso.

• Dal punto di vista artistico, ritieni che i Marlene abbiano fatto, nel corso della carriera, qualche passo falso?

Dal punto di vista artistico dico di no. L’approccio alle canzoni, ai dischi è sempre medesimo. Poi ci sono state cose che sono riuscite meno bene di altre ma questo è normale. Avessimo ceduto “ad un certo sentire” probabilmente avremmo fatto una carriera diversa ma noi siamo felici di quanto fatto. Di certo – come amo spesso ripetere – non siamo un gruppo paraculo.

• Cristiano, che rapporto hai con la morte?

Vorrei avere fede, se ce l’avessi avrei motivi di sperare in qualcosa e la speranza è sempre meglio averla. Mi riferisco a quella che possiede il credente e cioè che dopo la morte possa accadere qualcosa. Io questo sentimento purtroppo non ce l’ho.

• Qualcosa di simile e associabile all’ateismo? 

Non nel mio caso. Ci tengo a dire che non ho nemmeno  le certezze dell’ateo che dice:”Non esiste niente”. Per quanto mi riguarda mi limito a dire: ” mmm non so”. Mi viene in mente a tal proposito un’intervista di De Andrè, nella quale affermava che il giorno che sarebbe arrivata a bussare la morte si sarebbe sicuramente spaventato… ecco una cosa che mi sento di condividere. (Sorride).

• Caro? Siamo arrivati alle nove canzoni … ti toccano anche stavolta.
Che ne diresti di 9 canzoni 9 … Postpunk?

(la play list di Cristiano la trovate a lato dell’articolo. È possibile ascoltarla tramite Spotify).

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