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Nichka Marobin è una storica dell’arte italiana specializzata in storia dell’arte olandese e fiamminga. Si è laureata presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova con una tesi particolare, sulle stampe di ornamento rinascimentale dal 1500 al 1550 in Germania e nei Paesi Bassi concentrandosi sulla migrazione di forme, temi e stili nelle incisioni di Cornelis Bos, Cornelis Floris II, Lucas van Leyden e i Piccoli Maestri tedeschi.

L’abbiamo incontrata.

 

Come si può definire, in una frase, la memoria e la custodia dell’affetto attraverso gli oggetti?

Gli oggetti sono delle sopravvivenze, quando non soccombono alla Storia o all’Uomo.

Come si spiega la “consistenza della memoria” attraverso i gioielli?

Mi piace pensare che “la consistenza della memoria” sia un pulviscolo che si deposita su un oggetto e che esso, proprio grazie a questo pulviscolo, assuma una grandezza tutta particolare, pur mantenendo, nel caso dei gioielli, le sembianze di una spilla, un anello, una collana: mondi intrisi di significati, simboli, domande. Come tutte le opere d’arte.

La gioielleria può essere “abitata” come “scrigno di affetto”?

Sì, senza dubbio i gioielli sono “scrigni”. Anche se non va dimenticato che essi sono opere tanto vulnerabili quanto deperibili: da sempre, infatti, questi operati possono essere fusi, venduti, smembrati. Ma quando essi assurgono a scrigno di memoria, diventano anche talismani. La memoria che vi abita è un legame d’affetto, di memoria da custodire e venerare; di presenza costante e viva.

Quali sono i gioielli devozionali più particolari che ha incontrato nella sua ricerca?

La gioielleria devozionale è un ambito vastissimo, basti solamente pensare al campo di studio delle arti applicate che si occupa di arte devozionale religiosa. Ma devozione religiosa a parte, io penso che le opere più affascinanti che abbia incontrato siano proprio quelle Lovers’ eye brooches (le piccole spille che ritraevano l’occhio dell’amato) di epoca georgiana inglese: piccoli oggetti di una forza straordinaria.

Qualcuno disse: “Le persone vanno e le cose restano”. Cosa è accaduto, a livello di devozione e memoria, nell’epoca georgiana?

L’epoca georgiana inglese è un periodo storico ben preciso che va dal 1714 al 1837 sotto i regni di Giorgio I, II III e Giorgio IV di Hannover. È il periodo storico che ha visto fiorire gli scritti di Jane Austen e proprio a quel tempo, per un gesto introdotto da Giorgio IV, si situa la produzione delle Lovers’ eye brooches, piccoli gioielli che ritraevano la miniatura dell’occhio dell’amata/amato e che si appuntavano sui risvolti delle giacche, vicino al cuore. Si tratta di miniature su avorio, montate in oro le quali erano un pegno d’amore e di devozione amorosa.

Perché quei piccoli gioielli ritraevano solo un occhio?

Perché erano un modo per tenere vicino a sé l’amata o l’amato, i quali erano sì corrisposti ma legati ad altri in matrimonio per vincoli di ragion di stato, economica o politica. L’occhio è la via per il cuore. Far ritrarre lo sguardo dell’amato o dell’amata equivaleva pertanto a creare quel vincolo d’amore che, suggellato da un piccolo oggetto nascosto alla vista dei più, aveva il significato di un vero e proprio matrimonio d’amore. Poi, con il tempo, questa pratica divenne alla moda e le spille, che prima erano nascoste, trovano il tempo di “scoprirsi” e di declinarsi in medaglioni riccamente ornati di pietre.

Nonostante fossero molti, a quell’epoca, i matrimoni combinati, quello tra la Regina Vittoria e il Principe Alberto di Sassonia, fu un vero matrimonio d’amore e la morte prematura del Principe consorte lasciò la sovrana veramente prostrata. C’è un gioiello che la Regina ritenne sempre fondamentale indossare o conservare?

Fra le numerose opere conservate nelle Royal Collections, l’anello in oro e smalto nero con incastonata l’effigie del Principe Consorte (in fotografia) è senza dubbio il pegno d’amore e di devozione che Vittoria sempre indossò.

Il colore nero fu il colore principe dell’epoca vittoriana… Quali materiali e oggetti si utilizzavano per la condivisione sociale del lutto?

Nella produzione della cosiddetta mourning jewellery, letteralmente “gioielleria da lutto”, l’impiego del colore neroera d’obbligo. Oltre all’uso dello smalto di colore nero, vi era anche la produzione di gioielli in giaietto, una lignite che ben si adattava agli scopi della produzione orafa, poiché resistente e capace di assoggettarsi alla mano degli orafi che la intagliavano e la scolpivano.  Nasce da qui tutta quella produzione di spille col motivo delle mani intrecciate (sole o a volte ornate di serti floreali), così come di paruresdi jet intagliate con i motivi delle pietre preziose le quali abbellivano – col loro bagliore mesto – gli abiti da lutto.

Altri esempi di quella che può definirsi “Mourning jewelry” in epoca vittoriana?

Oltre alle citate spille col motivo delle mani intrecciate e le parure di giaietto, vi era tutta la produzione di ornamenti in oro e smalto nero declinati in spille, anelli, orecchini, pendenti. Spesso le spille e gli anelli racchiudevano una ciocca di capelli della persona amata, o una miniatura su avorio ne ritraeva i riccioli. Vi erano poi le effigi e i ritratti incastonate negli anelli, oltre alle “sempreverdi” lovers’ eye brooches: tutti piccoli oggetti che condensavano e custodivano mondi di memoria d’amore.

Perché creare simili tesori?

In epoca vittoriana indossare un gioiello che racchiudesse la ciocca di capelli della moglie, del marito o di un parente prossimo era considerato normale: la ciocca era il legame imperituro con la persona deceduta. Dedicare uno scrigno prezioso ad un dettaglio talmente personale come i capelli equivaleva a creare quella “corrispondenza d’amorosi sensi” che ne suggellava tanto la custodia d’affetto, il ricordo e l’amore tra il vivo e il defunto: marito, amico, figlio.

C’è una continuità storica e artistica mai spezzata…

È vero poiché, da sempre, i gioielli si fanno portatori di messaggi, veicolando e tramandando tanto il potere quanto gli status sociali, le memorie, le devozioni. Basti pensare che ancor oggi nella nostra epoca, siamo soliti offrire in dono un gioiello come segno di un momento importante nella vita di qualcuno, come se fosse un segno a ricordo di un “passaggio” da un’età ad un’altra: dalla nascita alla prima comunione, alla laurea, al matrimonio… Per non parlare, poi, dei gioielli che si tramandano in famiglia e che passano di mano in mano, per esempio da una nonna alla madre alla figlia, rinsaldando legami, recando appresso le storie di tutta una vita.

Ai nostri giorni come si orientano gli artisti rispetto a tali tematiche?

Nel panorama della gioielleria di ricerca, molti sono gli artisti che si cimentano con tematiche “forti” quali la perdita, il lutto, il fine vita e l’adagio del “memento mori”. La nostra società, che vive il mito (e forse anche una dittatura) della felicità, ha rimosso consapevolmente questi temi poiché scomodi.  Nell’ambito della gioielleria contemporanea, gli artisti si muovono e pongono domande, illustrano con i propri lavori e le loro installazioni episodi che li hanno toccati da vicino, scoprendo le debolezze di un singolo che poi sono quelle di tutti. Vi sono artisti come Renée Zettle-Sterlingla quale riflette sulla produzione ornamentale in giaietto vittoriana e la “ricrea” usando materiali nuovi, ma non discostandosi dal messaggio primigenio; oppure creando delle maschere da lutto di forte impatto emotivo e capaci di suscitare commozione e sgomento.

Che ne è oggi dell’autenticità del gioiello contemporaneo?

A mio parere ogni opera di gioielleria contemporanea è autentica poiché essa è il frutto di anni di ricerca. Un artista orafo crea opere d’arte che, tanto quanto una pittura o una scultura, pongono non solo delle domande all’occhio di chi guarda, ma creano un legame peculiare tra chi crea, chi indossa e chi guarda. Ogni opera, in tal senso, ha da essere letta, decodificata e compresa.

Diametralmente opposta alla gioielleria tradizionale, la gioielleria contemporanea reca in sé l’autenticità poiché attraverso di essa si declinano molti degli aspetti dell’autore stesso, della sua vita, delle idee e del suo vissuto. Ecco perché è sempre un grande privilegio poter parlare ai Maestri e agli artisti: è poter condividere una visione e un “mondo”.

È proprio seguendo questo pensiero che è nata AGC – Associazione Gioiello Contemporaneonel 2004, Associazione della quale faccio parte, per poter aprire a tutti la visione di un mondo che ai più resta sempre tanto inesplicabile quanto ricco di curiosità e perciò, affascinante.

Come è nato il progetto “The Morning Bark”? Di cosa si tratta esattamente?

Il progetto del blog “The Morning Bark” è nato dalla necessità di poter condividere lo studio sulle arti e gli interessi della mia vita. Con il tempo, anche grazie al coinvolgimento nel mondo della gioielleria contemporanea, esso si è arricchito di progetti e di idee, ma rimane sempre un luogo deputato alla condivisione di “storie” e di mondi.

In particolare cosa esplora nella sua arte? Per esempio attraverso il progetto “Les Métissages”?

Le mie esplorazioni sono “letture” di mondi e, tanto la scrittura quanto la curatela di mostre, sono un mezzo per far colloquiare in mondi che mi coinvolgono da vicino come la storia dell’arte del Cinquecento nordico e la gioielleria contemporanea.

È soprattutto attraverso questa lente che può essere analizzato il progetto dei “Métissages” che ha visto la luce nel 2014. Affascinata dalla vita delle forme nella storia dell’arte, indagoil loro dialogo incessante che si squaderna attraverso la moda e la gioielleria contemporanea, forme d’arte da sempre considerate “figlie minori” della pittura.

Di seguito alcuni link utili per approfondire il lavoro della dott.ssa Nichka Marobin, attraverso la piattaforma KLIMT02  e ART JEWELRY FORUM che trovate di seguito, nonché il personale sito internet:

https://klimt02.net/forum/interviews/nichka-marobin-art-historian-and-blogger-interviewed-klimt02

 

https://klimt02.net/events/exhibitions/alchemical-egg-hannah-gallery

 

https://artjewelryforum.org/node/7150

 

Playlist ascoltata:

Christopher Tye, Lawdes Deo (Consort Music), Jordi Savall, Alia Vox, 2009;

Monsieur de Sainte-Colombe, Les Pleurs, Jordi Savall, Alia Vox.