Conoscete gli Artica? Nascono a Roma nel 1989 elaborando un sound derivativo della miglior tradizione dark/wave. Tuttavia, il percorso intrapreso negli anni, ha regalato numerose sorprese non ultima Panacea, fatica discografica pubblicata il 9 giugno scorso.
Abbiamo incontrato Alberto Casti, frontman del gruppo. Sentite che cosa ci ha detto.
Caro Alberto, proviamo a scombinare le carte. Dimentichiamoci del vostro aureo passato e concentriamoci sul presente. Chi sono oggi gli Artica?
Una alternative rock band di ultra quarantenni animati ancora da un grande entusiasmo e supportati dalla consapevolezza, oggi più che mai, di poter creare e produrre musica in completa autonomia.
Per una band con queste credenziali, quanto è difficile immaginare il futuro?
Non lo è affatto: continueremo a fare musica. Al momento stiamo già lavorando a nuovi brani e contemporaneamente a un Ep di remix.
Restiamo ancorati al presente, è uscito Panacea, nuova fatica discografica. Parlacene.
Sul versante creativo Panacea è un lavoro gestito in tempi biblici perché ha subito gli eventi che hanno stravolto e ricomposto la band negli ultimi 10 anni. Nell’ambito della produzione musicale è stato però la concretizzazione di un lavoro di squadra che ci ha aperto nuovi orizzonti.
Proviamo a entrare nello specifico?
È un prodotto realizzato interamente con le nostre forze. Lo abbiamo composto, arrangiato, registrato e mixato esattamente come volevamo, nel nostro studio, mettendo sul piatto le competenze acquisite da ciascuno di noi in quasi 30 anni di esperienza. Siamo talmente soddisfatti del risultato ottenuto che potrebbe tranquillamente essere l’ultimo album degli Artica. Ma non lo sarà.
Inizio, centro e fine lo rendono un album compatto e “definitivo”.
Sono d’accordo con te: è un album definitivo, un capitolo aperto e chiuso, probabilmente irripetibile. Molti dei brani di Panacea facevano parte del nostro repertorio live già da diverso tempo.
Ancora prima dei parziali rimescolamenti di line up?
Sì. A fasi alterne alcuni di noi, hanno dovuto prendersi un momento di riflessione. Per qualcuno questa pausa si è conclusa con il rientro nella band, per altri con l’uscita di scena. È così che tre anni fa è subentrato Federico (ex Diniego) al basso, portando con sé anche le sue competenze di ingegnere del suono. Abbiamo dovuto lavorare duro per creare una nuova amalgama, per ricercare una sintonia e una nuova progettualità. Panacea è un obiettivo raggiunto, un’idea su cui abbiamo investito e sulla quale abbiamo lavorato senza risparmiarci. Siamo molto soddisfatti del risultato.
In certi ambiti come possono essere i territori della New-Wave non esiste spazio ulteriore per lasciarsi andare alla ricerca, tutto è stato scritto e fatto. Sei d’accordo?
No, per niente. Chi suona in una band è cresciuto accomunato dall’interesse per una gamma di generi musicali. Quello è il background, ossia quel che è già stato scritto, e su quello il gruppo lavorerà portando il suo contributo. Il cambiamento è inevitabile e può essere frenato solo se vi è una concreta intenzione a farlo.
D’accordo ma “i recinti” sono stati tracciati da tempo, impossibile agire al di fuori…
Se lasci semplicemente che le cose vadano e che tutti i membri della band contribuiscano con la loro interpretazione è difficile che non venga fuori qualcosa di originale. Magari non sarà una rivoluzione, ma sarà comunque un cammino personale.
Un gruppo come gli Artica all’interno di questo ambito cosa sente di poter rivendicare?
L’autonomia e la longevità di un percorso indipendente.
Sebbene mi dicevi che ti piacerebbe che Panacea non fosse solamente collocato all’interno di un “passato che ritorna”. Spiegati meglio.
Senza alcun rimpianto relativamente a quel che è stato, mi piacerebbe che Panacea fosse ascoltato come il prodotto di una band esordiente nel 2017. Senza collegamenti col passato, senza aspettative. La musica è uno scambio continuo tra chi compone e chi ascolta. Entrambi si mettono in gioco emozionalmente. Mi piacerebbe che questo scambio fosse libero da filtri.
Fammi capire, proviamo ad essere più concreti
Diversi ascoltatori degli Artica della prima ora sono convinti che il nostro meglio lo abbiamo dato nel 1994 con l’album d’esordio, Ombra e Luce. È difficile relazionarsi con ascoltatori animati da questi pregiudizi perché qualsiasi cosa farai sarai sempre un gradino al di sotto della tua storia. Mentre per tutti noi è il contrario. Sarebbe meglio concentrarsi sul presente.
Il tema dell’assenza riconduce ad una canzone centrale dell’album. Evanescent parla di tuo padre. Più in generale che rapporto hai con il lutto e la morte?
Tutto sommato sereno. La morte sta alla vita come l’ombra alla luce, vicendevoli, inevitabili e necessarie al tempo stesso. La sofferenza di chi se ne va (se c’è) e l’assenza in chi resta sono semmai gli aspetti meno digeribili di questi accadimenti. Panacea è stato anche un modo per metaboilzzare questo trauma che per altro non ha riguardato solo me. Negli ultimi 15 anni gli Artica sono stati funestati da perdite come la mia. E a ben guardare l’assenza, o comunque la ricerca di ricomporre un insieme, è il tema centrale di buona parte dell’album.
Che cosa pensi dell’ambiente dark/wave/goth italiano?
In passato sono sempre stato molto critico verso la chiusura che anima questo ambiente, riferendomi particolarmente all’audience. Oggi ne sono meno preoccupato. È una caratteristica comune a tanti ambiti che, per quanto sia triste, sopravvivono grazie alla ripetizione di cliché. Penso che più che aspettarsi qualcosa dall’audience le band dovrebbero semplicemente mostrare maggiore coraggio.
In questi ambiti esistono band che meriterebbero maggiore visibilità, sei d’accordo?
Assolutamente. Ma è una strada in salita. Basti pensare che sono sempre meno le radio indipendenti. Abbiamo vissuto negli ultimi anni l’illusione di poter fare a meno, grazie alla musica liquida e ai servizi di streaming, di radio e dj competenti. Il risultato è il trionfo del mainstream e delle major a scapito delle produzioni indipendenti. Fortunatamente c’è ancora chi si muove nell’ombra via etere, coi podcast o facendo serate nei locali.
Proveresti a farmi capire quali sono state le motivazioni che vi hanno portato a ritornare sulle scene dopo undici anni?
La vena creativa ha subito rallentamenti, ma non si è mai esaurita. Ne sono nate canzoni che a nostro avviso meritavano di essere condivise. In questo percorso si sono riscoperti tanti piaceri dell’essere membro di una band. Quindi tornando sulle scene non facciamo altro che perpetuare questo stato di ritrovato benessere.
È questa un’azione estemporanea oppure è un vero e proprio inizio di una vostra second life?
Se in principio pensavo che la funzione di Panacea sarebbe stata quella di chiudere dignitosamente un ciclo, oggi sento che se n’è appena aperto uno nuovo. Bisognerebbe riparlarne tra un paio di anni.
Progetti per il futuro?
Comporre, suonare, produrre, sperimentare e anche collaborare, perché no. Sarebbe auspicabile più dialogo tra gli artisti.