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Era proprio il 6 agosto ma del 1994 quando il Wwf decise che Domenico Modugno doveva essere il testimonial del ritorno in mare di una tartaruga ferita. Non esattamente un gesto a caso; in passato, infatti, erano stati diversi gli screzi del cantante con l’associazione, la quale aveva in parte recintato la sua tenuta di Lampedusa poiché quella specie rarissima nidificava proprio in quel punto.
Di fatto quel gesto, avrebbe dovuto sancire la pace tra le due parti ma qualcosa andò storto. Una volta arrivati, ad aspettarli sulla battigia, trovarono orde di turisti, fotografi, pescatori; nella concitazione due giovani attivisti s’impadronirono dell’animale, spingendo l’artista all’indietro: il cantante fu come risucchiato dalla gente e la situazione precipitò. Furente come non mai, cominciò ad accusare l’associazione e mentre si allontanava si sentì urlare: “L’avete fatto apposta, mi avete preso in giro un’altra volta”. Ciò che con ogni probabilità fu un equivoco, venne invece vissuto come un grave atto di arroganza e prevaricazione.
Giunto nella sua villa di Baia, tra scogli alti e selvaggi, Modugno attese come consuetudine il digradare del sole. Il panorama, dalla sua veranda, era spettacolare e mentre il cielo gli mostrava ancora una volta l’iridescenza del crepuscolo, cadde a terra. Nei suoi occhi fu quello l’ultimo tramonto.
Dopo averne vestito il corpo senza vita, la moglie Franca e tre amici lo portarono alla cappella sconsacrata della Guitgia, dove venne allestita la camera ardente, furono quelli momenti terribili.
Per volontà dello stesso cantante, nella bara trovarono posto sia il bastone e cilindro de L’Uomo in Frac che due bottigliette contenenti acqua di mare e sabbia proveniente dall’Isola dei Conigli.
Qualche giorno dopo, a Roma, nella chiesa di San Sebastiano, ebbe luogo il funerale. Il feretro, circondato da enormi cascate di dalie, raccoglieva attorno a sé il mondo dello spettacolo al gran completo ma soprattutto gli amici di sempre Sergio Endrigo, Tony Renis, Ciccio Ingrassia; amici cari, testimoni di una vita incredibile, costellata d’amore e successi. Nel primo banco, invece, la famiglia si specchiava nel dolore di tutti e poi c’era lei, Franca Gandolfi, moglie e compagna di sempre.
La messa volse al termine. Il feretro percorse la lunga navata centrale della chiesa ondeggiando sotto la spinta di una folla che applaudiva incessantemente. La bara uscì dalla basilica portata a spalla e, lentamente, una processione senza fine accompagnò il cantante di Polignano a Mare verso l’ultima dimora.
È questo un post volutamente intenso. L’esigenza è quella di tributare ad un grande artista il giusto onore raccontando “in sottrazione” (sì perché non basterebbero le pagine di un giornale intero) gli ultimi istanti della sua vita.
Affermare che Modugno sia certamente il padre putativo del cantautorato italiano è cosa logica, quantomeno dovuta. Le liriche che ne hanno contraddistinto il percorso artistico – è bene ripeterlo ancora una volta – hanno inequivocabilmente nobilitato il tratto della canzone d’autore, non solo italiana.
Come dice la moglie, “Mimmo vivrà per sempre attraverso le sue canzoni”.
Inutile aggiungere altro.
Domenico Modugno (9 gennaio 1928 – 6 agosto 1994) è sepolto nel cimitero di Prima Porta a Roma.
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