Oggi 5 aprile 2019 ricorre il venticinquennale della morte di Kurt Cobain. Doveroso dunque ricordarne il tratto, provando a definirlo in pillole, mediante un breve scritto in grado di ripercorrerne la storia.
È possibile parlare di Kurt Cobain, leader dei Nirvana, senza mistificarne la figura? È difficile. In ambito musicale la cultura tende a celebrare le rockstar, ancor più quelle passate a miglior vita. A prendere il sopravvento è generalmente la versione romantica della vicenda. A tale riguardo Frances Bean Cobain, la figlia oggi ventiseienne afferma:“È scritto sulla pietra che mio padre è uno dei padri putativi del Grunge, avrà per sempre ventisette anni e resterà bello e biondo in eterno. Tutto ciò è ok, ma non sopporto il romanticismo attorno alla sua figura, mio padre è morto nel modo peggiore”.
Fu la radio locale di Seattle a trasmettere le prime agghiaccianti indiscrezioni circa la tragica morte del musicista. Quella che sembrava essere soltanto una voce, timidamente prese corpo; un silenzio che si fece presto rumore assordante, fino a divenire tam tam inesorabile nella mente e nel cuore di chi nelle sue canzoni aveva trovato rifugio. Era l’8 aprile 1994 (ma morì il 5) e la voce dello speaker gelidamente annunciò: “Il cantante dei Nirvana, Kurt Cobain, si è ucciso con un colpo di arma da fuoco nella sua abitazione”. Parole pesanti, in grado di sgretolare in un istante le certezze di un’intera generazione.
Tra la fine del 1985 e gli inizi del 1986, Cobain iniziò a suonare insieme a un gruppo di amici (successivamente ridotto ai soli Krist Novoselic e Dave Grohl) formando quella che divenne in brevissimo tempo una delle compagini più amate nella storia del Rock. Musicalmente in uno stato embrionale, i Nirvana incisero una demo per la Sub Pop. Non esattamente una casa discografica come le altre; numerose le formazioni tenute a battesimo, come ad esempio Soundgarden eMudhoney.
Bleach, il primo disco,venne autoprodotto dai Nirvana. In un’intervista di quel periodo, il cantante si lasciò andare ad alcune perplessità: “Cosa dovrebbe essere veramente punk? Quanto è cattivo?”. Domande senza risposta, sebbene le loro fortune fossero legate agli impulsi generati dal sottobosco musicale, capace di specchiarsi con estremo interesse a quanto avvenuto negli anni 70:“Tentavo di suonare nel modo più arrabbiato possibile. Alzavo al massimo il volume del mio piccolo amplificatore. In verità non avevo assolutamente idea di cosa stessi facendo”. Ascoltando l’album prevale il senso inusitato delle chitarre, nonché la derivazione frenetica e urgente del punk. Una chiave di lettura che trova libera espressione nel sound di About a girl, il singolo.
In rapida successione il successo travolse il gruppo; Smells like Teen Spirit divenne l’inno di un’intera generazione. Nevermind (il secondo album, uscito nel 1991) rappresentò la sintesi degli umori dell’epoca, oppure, se preferite, il focus perfetto sul sound dei Nirvana e più in generale di ciò che il mondo volesse ascoltare in quel preciso momento; “Abbiamo fatto un disco semplice – diceva al tempo Kurt – non abbiamo bisogno di essere sostenuti e strutturati con suoni e chitarre a supporto e questo vale sia in studio che on stage”. Di fatto la band, giunge al punto di massima esposizione grazie alla scena indipendente americana, come detto, in piena espansione.
I Pixies, il gruppo capitanato da Frank Black vengono più volte citati da Kurt come indiscussa fonte di ispirazione. In effetti, i bostoniani, sono considerati i padri di un certo sentire, sebbene, nella musica dei tre di Seattle siano manifesti altri riferimenti: Forse i riff incalzanti dei Melvins? “La nostra paura più grossa paura – diceva Kurt – all’inizio era che la gente potesse pensare che fossimo una copia di Buzz Osbourne e soci”. In verità, altri gruppi come ad esempio gli Husker Du tracceranno un solco ancor più profondo nella musica dei Nirvana. La band di Bob Mould ha avuto indubbia rilevanza sulle loro sorti.
In Utero, pubblicato nel 1993 (ancor prima, nel 1992, uscì Incesticide con la reprise di materiale che già circolava tra i fan), avrebbe dovuto rappresentare il grande ritorno al muro di suoni tipico. L’album, di primo acchito, risultò essere un coacervo di sonorità, sostenute da testi pervasi da una rassegnazione giunta al suo stadio più evoluto: “I miei testi sono pieni di contraddizioni – affermava – spaccati esattamente a metà tra opinioni estremamente sincere e confutazioni sarcastiche; spero siano quantomeno umoristiche, conditi da ideali stereotipati e superati da anni”. A prescindere dalla sua visione (probabilmente alterata dallo stato mentale di quel momento), soltanto il tempo è stato in grado di restituire una lettura definitiva: In Utero è un disco/testamento scintillante, magicamente pervaso da canzoni divenute eterne.
Umplugged, pubblicato nel 1994 per MTV, funge da spartiacque per il prosieguo della carriera. Proprio in quel periodo, tra l’altro, cominciò la tournèe italiana; furono quelli i giorni in grado di determinare, in pratica, la fine del gruppo, anticipando di poco la morte del cantante.
Il corpo di Cobain venne trovato nella sua abitazione da Gary Smith, un elettricista. Ad esclusione del poco sangue proveniente dall’orecchio di Kurt, Smith disse di non aver rinvenuto segni visibili di particolari traumi; semplicemente, pensava fosse addormentato. Smith trovò, accanto al corpo, una lettera. Inoltre venne ritrovato un fucile a pompa, comprato per la rockstar da Dylan Carlson, un suo amico. L’autopsia confermò che la morte di Cobain fu causata da un “colpo di fucile autoinflitto alla testa”. Il rapporto disse anche che il cantante era morto con tutta probabilità il 5 aprile 1994.