Ho conosciuto Nicola Ferrari nel 2005, al VI Congresso Internazionale della IATS (Associazione Internazionale di Tanatologia e Suicidologia), che si svolgeva per la prima volta in Italia. Dopo i nostri rispettivi interventi ci siamo presentati ed è cominciato un sodalizio umano e professionale che ancora oggi ci accompagna. Quando visitai, per la prima volta, la sede dell’associazione Maria Bianchi di Suzzara (Mantova), il dott. Nicola Ferrari stava ultimando il colloquio con una giovane ragazza in lutto. Aveva perduto in pochi mesi tutta la sua famiglia. L’ho visto ascoltare quanto più possibile i bisogni di quella giovane, cercando di sintonizzarsi sul suo modo di vedere ciò che era accaduto, sulla sua esperienza di perdita, senza sostituirsi a lei con una ricetta, un suggerimento o consigli preconfezionati. Lo ringrazio ancora.
1 • Quando e come è nata l’Associazione Maria Bianchi?
L’associazione è nata nel 1986. Mi ricordo benissimo quel momento: era fine primavera, una domenica pomeriggio. Da poco avevo fatto ritorno dalla scuola di specializzazione che stavo frequentando per diventare insegnante di sostegno per alunni con handicap. Mi stavo riposando sul letto e guardavo un quotidiano, a dire il vero molto distrattamente. Sono inciampato su una pubblicità della Fondazione Vidas di Milano che, più o meno, diceva: tante persone, proprio in questo momento, stanno soffrendo. Te la senti di dare un aiuto? Pensai di colpo che sì, me lo sentivo. Poi, riflettendo con calma, mi vennero un sacco di dubbi: che cosa posso fare? Cosa serve per essere di vero aiuto? Come dovrei essere? E altro su questo genere.
Ancora adesso, dopo ventotto anni, è tutto intatto. La risposta e i dubbi.
2 • In cosa consiste il supporto che mettete in atto per aiutare i luttuanti?
Per noi ‘supporto’ coincide con ‘progetto’. Sostenere chi vive un lutto corrisponde a costruire un progetto d’intervento cioè una serie di contesti relazionali, modalità narrative e azioni pratiche che si fondano su principi, metodi e obiettivi coerenti e consequenziali. Tutto il resto – le risorse individuali, le conoscenze e le abilità, le intuizioni e le sensibilità di ogni operatore – sono straordinarie possibilità se vengono orientate per creare una modalità organizzata di supporto.
Una vera relazione d’aiuto si fonda sulla lucidità e la consapevolezza di ciò che desidero accada in chi si rivolge a me.
3 • Nessuno è mai davvero pronto per l’esperienza della perdita. Cosa possono fare le persone in lutto per se stesse?
È la domanda centrale di ogni nostro intervento di supporto, nei gruppi, negli incontri individuali, nella cor-rispondenza. Ma la risposta non spetta a noi: è di esclusiva proprietà delle persona in lutto che deve riuscire a dirsi come continuare ad amare chi non ha più accanto. Il nostro compito è facilitare questa risposta creando delle situazioni nelle quali la narrazione del dolore esistenziale, il ricordo della personalità del defunto, l’analisi dettagliata del suo lascito complessivo e i modi per farlo incidere nella vita quotidiana di chi è rimasto, diventano gli argomenti fondamentali delle condivisioni, in maniera sempre più approfondita e particolareggiata.
4 • Secondo la vostra esperienza, quando il processo del lutto può farsi più difficile per i dolenti? Che cosa li aiuta?
Da anni, indipendentemente dal tipo di decesso, dalle risorse di chi chiede aiuto, dalla sua resilienza e da tante altre variabili, nulla ci risulta più difficile da trasformare del dolore per la perdita vissuta come un modo per dimostrare l’amore che, chi è rimasto, vive nei confronti del suo caro defunto. Questo binomio (più soffro per la tua assenza più questo testimonia il mio amore per te) impedisce il compimento del processo elaborativo e permette una sorta di affezione alla sofferenza personale che diventa così contemporaneamente causa di enormi fatiche esistenziali e segno dell’amore che ancora si prova. In questa dinamica aiuta molto incontrare persone che, proprio perché hanno perpassione, non compassione verso chi patisce, non accettano passivamente questo vissuto ma, con pazienza, serenità e fermezza, cercano di analizzare e chiarire insieme questo vissuto.
5 • Chi soffre non desidera essere richiamato alla realtà dei fatti e agli aspetti concreti della morte del proprio caro, vorrebbe al contrario sentirsi compreso nel proprio dolore…Nel lutto cosa andrebbe evitato?
Tutto ciò che allontana, ritarda o altera la verità. Non è centrale ciò che per me (operatore, volontario, parente o amico) è vero e giusto ma per chi è in lutto. La verità del rapporto che si era creato con il defunto, la verità del suo lascito in me, la verità di quello che posso fare ed essere per vivere le conseguenze di ciò che ci siamo donati. Aiutare i dolenti allora non s’identifica, come molti credono ed esprimono, solo con un caldo abbraccio, un ascolto totale, una buona parola ma è necessario trovare insieme delle alternative, attivare delle riflessioni e far emergere emozioni che permettono un cambiamento, una novità rispetto a ciò che sino ad ora il soggetto ha messo in campo per cercare di continuare a rendere la vita degna di essere vissuta.
6 • Entrare nel vostro sito (www.mariabianchi.it) permette di trovare molte informazioni sulla vostra attività. Parlaci del servizio Cor-rispondenze.
È un servizio nato da un’esperienza diretta. Nei primi anni delle nostre attività, varie persone in lutto ci contattavano scrivendoci o perché troppo lontane per ipotizzare incontri o perché preferivano questa modalità. Le nostre risposte per mail o tramite lettere postali erano però insoddisfacenti Ho pensato allora ad una comunicazione scritta che potesse caratterizzarsi non solo come sfogo e/o scambio di riflessioni ma come una vera e propria relazione d’aiuto. Dopo vari percorsi e tentativi, nel 2000 è nato il servizio Cor-rispondenze, attivo ora per tutta l’Italia, che si caratterizza dallo scambio continuativo tra un operatore appositamente formato e la persona in lutto tramite posta elettronica o tradizionale, utilizzando la metodologia che abbiamo ideato, e tutelato alla Siae, chiamata Narrazione Guidata.
7 • In Italia stiamo attivando una importante rete nella Death Education: Parma, Brescia, Mantova, Padova stanno da tempo proponendo percorsi educativi scolastici improntati sul valore della vita intesa come inizio e fine di un percorso. Come è nato il progetto “Unità di crisi”?
Anche in questo caso sono stati i vissuti a determinare la nascita di un progetto: il decesso della madre di un mio alunno delle elementari e quello di un ragazzo delle medie, allora primo ‘fidanzatino’ di mia figlia. In entrambi i casi emerse il totale isolamento dei vari docenti nell’affrontare le conseguenze personali e gestire le dinamiche di classe dopo la morte, lo smarrimento degli altri alunni, la confusione tra i genitori. Siamo partiti quindi da un lungo e intenso percorso di formazione dei docenti disponibili ad approfondire queste tematiche; in seguito siamo arrivati alla costruzione di un servizio che si fonda non sulla delega ad esterni delle problematiche successive al decesso in una classe ma sul coinvolgimento della maggior parte possibile della comunità scolastica in lutto.
8 • Quali sono i vostri progetti?
Prima di ogni altra nuova iniziativa, dobbiamo potenziare l’efficacia e migliorare sempre la qualità di ciò che già esiste e garantirne l’accesso a sempre più persone. I nostri gruppi di autoaiuto, i colloqui individuali, le Cor-rispondenze, la mediateca specializzata con materiale scritto e video in prestito, la pubblicazione di testi (testimonianze e saggi), la formazione in loco e presso altre realtà sono già di per sé servizi molto impegnativi. Però ogni anno emergono comunque nuove idee; personalmente ne ho una che da tanto tempo è un sogno. Realizzare una sorta di mostra multimediale itinerante che preveda un forte coinvolgimento dei partecipanti e permetta di vivere un’esperienza a 360 gradi dentro alle emozioni, i riverberi e i ragionamenti che riguardano l’esperienza della perdita e del lutto tramite immagini, musiche, parole, incontri vis à vis.
9 • Quale ricordo conservi della rassegna Il Rumore del Lutto?
Ricordo soprattutto il silenzio nei partecipanti durante gli incontri ai quali ero stato invitato: eventi che si sono sempre caratterizzati per un silenzio che non ho mai percepito come irrequietezza o disinteresse. Una sorta di attesa invece. Come se tanti dei presenti trovassero un momento buono, cioè sereno, comunitario e rispettoso, per pensare ai loro cari, intanto che le parole di uno o dell’altro di là dal palco giravano in aria. Un silenzio così vero e naturale che, veramente, mi sembrava di essere io fonte di disturbo.