Descritto come “lo storico che ha contribuito più di chiunque altro a definire e drammatizzare lo studio della morte” (Allan Mitchell, 1978:686), Philippe Ariès nasce in Francia nel 1914. Figura marginale nei circoli accademici Francesi, l’autore diviene famoso nel mondo anglofono grazie alla pubblicazione, in inglese, di due volumi: “Centuries of Childhood” (1962, tradotto in Italiano come “Padri e Figli nell’Europa Medievale e Moderna”) e “The Hour of Our Death” (1981, “L’uomo e la morte dal medioevo ad oggi”).
Con L’Uomo e la Morte dal Medioevo ad Oggi, frutto di quasi vent’anni di ricerca, Ariès descrive il cambiamento nella relazione fra l’uomo occidentale e la sua mortalità nel corso di quasi due millenni. Malgrado le fonti presentate a sostegno della tesi siano scarse e in gran parte di origine letteraria, e non siano dunque sufficienti a fare de L’Uomo e La Morte un testo valido ed affidabile, il libro apre le porte ad un nuovo campo di indagine storica – lo studio della morte – tramite un approccio innovativo che combina storia e sociologia, spostando la lente dai grandi eventi ai comportamenti degli uomini e delle donne del passato.
Spesso criticato per aver infuso la propria opera storica con un senso di nostalgia verso un passato idealizzato, un atteggiamento legato alle proprie credenze politiche conservatrici, Ariès interagisce comunque con grandi figure della sinistra Francese (basti pensare che alla sua morte, avvenuta nel 1984, è Michel Foucault a scrivere il suo necrologio). Solo in tempi relativamente recenti lo studio della morte ha iniziato a distanziarsi dal lavoro del grande storico Francese, che ha mantenuto per decenni un’influenza immensa sulle modalità in cui l’argomento è stato approcciato da storici e sociologi.