Cantante e autrice rock, Cristina Donà ha avuto una grande passione per la musica fin da bambina. Ha frequentato il liceo artistico e si è diplomata in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Prima di intraprendere la carriera come musicista ha lavorato come scenografa, in teatro e per alcuni videoclip.
Nel gennaio del 1991 avviene ufficialmente il suo esordio nella musica, quando apre un concerto degli Afterhours con un repertorio di cover per chitarra e voce: è il tour promozionale di During Christine’s Sleep.
Incontrare Cristina Donà significa entrare in un mondo fatto di dischi, di canzoni ma non solo. Oltre l’artista, infatti, si cela la profondità di una persona speciale. Ecco cosa ci ha detto.
1 • Quante volte nella tua vita ti è capitato di essere coinvolta in una conversazione sulla morte?
Diverse volte. Generalmente sono conversazioni che riguardano l’evento, non tanto il concetto di morte. Ultimamente ho affrontato il tema con mio figlio di sette anni. Paradossalmente credo siano argomenti trattati più spesso quando si è bambini, quando le domande nascono si dalla paura, ma soprattutto da tanta innocente curiosità davanti a qualcosa di così apparentemente lontano dalle logiche terrene. Un buco nero a cui dare un senso e una forma.
2 • E quali sono i tuoi preconcetti riguardo all’argomento?
Forse fraintendo la parola “preconcetti”, ma suona strano usare questo termine nei confronti di un argomento simile. Se intendi le “paure”, ne ho attraversate diverse. Da quella più comune del restar chiusi nella bara e scoprirsi ancora vivi e sappiamo che Tarantino ha sfruttato bene questo incubo, alla paura dell’infinito, una dimensione sconosciuta che potremmo trovarci ad affrontare. La paura della sofferenza che porta alla morte, sino a quella di oggi, che non è tanto cosa succederebbe a me, ma a mio figlio se dovessi morire prematuramente.
3 • Cosa pensi della necessità umana di elaborare il concetto di morte?
La morte è forse l’evento “oggettivo” per eccellenza, insieme alla nascita, ma a noi che cerchiamo di dare un senso all’unica certezza di questa vita terrestre forse manca la capacità di elaborarlo con coerenza e la storia dell’uomo lo dimostra.
Viverlo con naturalezza, come parte della vita, forse è la cosa migliore, ma non è sempre possibile, soprattutto quando ad andarsene sono persone giovani, quando la morte porta via chi non vorresti lasciare andare, o quando le modalità sono spaventosamente illogiche.
L’approccio alla morte cambia con l’età, ma anche e soprattutto da cultura a cultura. Più siamo attaccati alla vita e più e più temiamo la morte, questa mi sembra un’equazione valida.
4 • Quali le domande alle quali non hai ancora dato una risposta?
Tantissime. Non basterebbe questo spazio e altri ancora. Sono domande che toccano anche il tema della spiritualità, la nostra parte “sottile” che emerge nei momenti di sofferenza. Una delle domande è sicuramente “come fare a vivere la morte in modo naturale?” o “come dare un senso quando la morte si porta via persone a cui sei molto legato?”. Ma al momento risposte non ne ho.
5 • “Gli uomini che non comprendono la vita non amano parlare della morte”, diceva Lev Tolstoj. Che cosa ne pensi?
Penso che sia una visione realistica e ti ringrazio per avermela sottoposta. Una comprensione profonda di quella che è la vita, la vita legata alle logiche della natura, dell’universo, può dare sicuramente molti spunti per affrontare il tema della morte, anche se non è da tutti addentrarsi in tale profondità. Ma, forse, ancora di più, per parlare della morte bisogna incontrarla, farne esperienza.
Anche il postulato di Lavoisier ci da una mano « Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ». Se guardiamo al mondo naturale, a cui apparteniamo, all’universo, se guardiamo alcune culture come ad esempio quella degli indiani d’America, possiamo elaborare ulteriormente. Siamo parte di un ciclo, di un divenire, di una trasformazione continua. C’è in noi il conflitto tra finito e infinito, questo ancora ci limita. E, visto che siamo in tema di citazioni aggiungerei quella che pare appartenere a Jim Morrison “Ciò che possiedi ti possiede” nel senso che il nostro atteggiamento verso le cose ne cambia la prospettiva.
6 • Il brano “Così vicini” parla di un affetto perduto nel ricordo? Ce ne vuoi parlare?
Così vicini è un brano particolare nella mia discografica, dove di solito parto da spunti miei per poi condividerli con i musicisti o il produttore. “Così vicini” è nato dalle mani di Saverio Lanza che ha scritto musica e alcuni spunti del testo che io ho esteso e personalizzato. Aveva già una vaga nostalgia nel suo incedere lento, in quello armonico e melodico, così mi sono lasciata trasportare e ciò che ne è uscito è da una parte un filo che lega noi al nostro passato, alle presenze importanti nell’infanzia, e dall’altra un invito a mantenere quello sguardo “bambino” che spesso perdiamo da adulti. Lo vivo come un brano dove ci sono echi subliminali. Dove quello che canto è molto di più di ciò che sembra. Una seduta di regressione. Per amplificare questo stato abbiamo scelto di utilizzare una qualità di voce abbastanza inusuale per me, che sta a metà tra il falsetto e la voce piena. Dopo varie prove abbiamo capito che quello era il suono di voce che aveva a che fare con il ricordo, ed una dimensione altra.
7 • Tra le covers che spesso suoni vi sono brani di Jeff Buckley, che non c’è più…
Per quello che riguarda la musica che amo, che in tanti amiamo, oggi è più probabile trovarsi davanti a brani scritti da chi ci ha già lasciato piuttosto che il contrario.
Una cosa che sto cercando di insegnare a mio figlio è quella di godere di ciò che ci è stato lasciato dai grandi artisti. Anche se non conosce bene Bowie, quando è morto, Leo ha pianto. Non so per quale motivo, forse perché ha sentito quanto eravamo legati a quell’artista.
Jeff Buckley, come il padre Tim e come molti altri, ha sprigionato tanta di quella bellezza ed energia che deve per forza continuare a scorrere tra di noi e dentro di noi. L’arte ha il grande potere di sopravvivere alla morte e di aiutarci a viaggiare, con o senza mezzi.
8 • Il lascito di un artista è la prova evidente che la morte non può prendersi tutto.
Appunto…
9 • Quanto la musica ti ha aiutata nelle perdite importanti della vita?
La musica è vita. La musica mi ha aiutata ad affrontare tanti periodi bui, e anche la morte di persone care. La sua influenza sui nostri neuroni, sulle nostre cellule viene spesso sottovalutata o volutamente ignorata. Settembre e Universo, due brani a cui sono molto legata, sono nate durante la malattia di mio padre, malattia che sapevo lo avrebbe portato alla morte. L’ascolto della musica che amo, oltre ad avermi ispirata, mi ha risollevata e riabilitata molte, moltissime volte. Credo che la sua potenza vada oltre ciò che immaginiamo: penso che abbia a che fare con meccanismi dell’universo stesso. Non voglio scomodare le onde gravitazionali, ma qualcosa di simile.
10 • Ci sono cose che ami di te?
Bella domanda! Di solito chiedono il contrario. Si, e con gli anni sto cercando di imparare ad amarmi di più, ad accogliere e valorizzare i molti aspetti che mi riguardano, non per giustificare tutto di me, ma per capire e agire di conseguenza. Amarsi, nella giusta misura, è cosa buona e giusta e soprattutto porta beneficio anche agli altri. Comunque una delle cose che amo di più è sicuramente la voce, un mezzo straordinario che mi ha dato e mi da la possibilità di capire meglio chi sono e quanto di me posso far arrivare agli altri.
11 • Che valore ha essere una cantante donna oggi?
Direi fondamentale, se porta avanti un messaggio, anche indiretto, di valorizzazione della figura femminile.